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Nuove regole per il recupero crediti


 Firenze, 10-02-2010

Nuove regole per il recupero crediti:
le corrette modalità di contatto dei debitori
da parte delle imprese di recupero crediti

Presentazione dell’accordo ADICONSUM-UNIREC



Dopo la stipula dell’avviso comune tra ADICONSUM e UNIREC lo scorso 16 novembre, proseguono i lavori di chiarificazione sulle giuste e corrette modalità di recupero crediti con la costituzione dell’ente bilaterale EBITER.
La presentazione delle nuove regole per il recupero crediti avverrà nell’ambito di una Tavola Rotonda che si terrà nella parte pubblica dell’Assemblea generale di UNIREC a partire dalle ore 14.00.
Interverranno: gli esponenti delle associazioni firmatarie e i rappresentanti del mondo della committenza e delle istituzioni. Tra questi l’avv. GIUSEPPE FORTUNATO, componente del GARANTE DELLA PRIVACY, autore del provvedimento “Privacy e recupero crediti”.

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EFFETTI DEL FALLIMENTO PER I CREDITORI

 

1-Divieto azioni esecutive
L'esecuzione fallimentare, di natura collettiva, implica che i singoli creditori non possano più agire in via esecutiva individuale per la soddisfazione dei loro crediti, ma debbano partecipare al concorso, nel quale, quindi, dal lato attivo, confluisce l'intero patrimonio del debitore, così come si trovava alla data del fallimento (cristallizzazione della massa attiva).
Il tradizionale divieto di iniziare e proseguire azioni esecutive è stato dalla riforma del 2006 espressamente esteso alle azioni cautelari in senso lato e, poichè il sequestro conservativo pacificamente è caducato dalla dichiarazione di insolvenza (data la sua conversione in pignoramento ai sensi dell'art. 686 c.p.c.), il riferimento alle azioni cautelari tende a coinvolgere nel divieto tutti gli strumenti cautelari, tra cui il sequestro giudiziario, della cui ammissibilità e, principalmente, del cui mantenimento in pendenza della procedura fallimentare molto si discuteva. Inoltre il divieto delle azioni esecutive e cautelari, tradizionalmente riferito ai crediti concorsuali è esteso espressamente esteso anche ai crediti maturati durante il fallimento.
E' rimasta, invece, la salvezza di diversa disposizione di legge, che consente l'inserimento nel sistema compiuto e chiuso dell'ordinamento fallimentare- che regola organicamente la materia fallimentare, con un rigoroso e limitato sistema di deroghe e riserve- di norme particolaristiche in favore di situazioni creditorie autonomamente considerate, come quella di cui all'art. 41 T.U. bancario n. 385/93, che attribuisce alle banche creditrici per operazioni di credito fondiario di godere del privilegio processuale di iniziare o proseguire le esecuzioni anche in pendenza di fallimento. 

2-I crediti garantiti da pegno e quelli assistiti da privilegio con diritto di ritenzione
Il divieto delle azioni esecutive non si estende anche ai mezzi di autotutela esecutiva privata che l'art. 53 concede ai creditori pignoratizi e privilegiati con diritto di ritenzione. Tale norma, infatti, dopo la proposizione del principio secondo cui i crediti pignoratizi e privilegiati con diritto di ritenzione "possono essere realizzati anche durante il fallimento", detta le modalità per la realizzazione che limitano, ed anche di molto, l'autonomia dell'esecuzione stessa; invero, i crediti in esame, in primo luogo, devono essere preventivamente ammessi al passivo con la prelazione ad essi spettante ed il pregiudiziale accertamento in sede fallimentare del credito e della prelazione costituisce una condizione per l'esercizio dell'autotutela (e dell'intero meccanismo di cui all'art. 53), stante la chiara lettera della norma che concede la possibilità della realizzazione durante il fallimento dei crediti in esame "dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione". 
Una volta ammessi al passivo, inoltre, i creditori pignoratizi o con ritenzione privilegiata non sono liberi di realizzare il loro credito con i tempi e le modalità da loro prescelti in quanto l'art. 53 prevede tre possibilità tra loro alternative, tutte soggette alla preventiva autorizzazione del giudice delegato e, cioè: a)-il giudice, sentito il curatore e il comitato dei creditori, può autorizzare il creditore, che ne fa istanza, alla vendita dei beni oggetto della garanzia, stabilendo il tempo della vendita e determinandone le modalità a norma dell'art. 107; b)-il giudice, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, può autorizzare il curatore ad eseguire la vendita "nei modi stabiliti dal comma precedente" (terzo comma ult. parte art. 53).
c)-il giudice, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, può autorizzare il curatore a riprendere le cose sottoposte a pegno o a privilegio, pagando il creditore (terzo comma prima parte art. 53).
Come si vede, anche la vendita diretta da parte dei creditori pignoratizi e assistiti dal privilegio di cui agli artt. 2756 e 2761 c.c. dei beni oggetto del pegno o della ritenzione, attua una forma di autotutela molto più limitata rispetto a quella che compete ai creditori fondiari, i quali, per procedere all'esecuzione, non hanno bisogno nè della preventiva insinuazione al passivo nè dell'autorizzazione del giudice delegato alla vendita e seguono, quindi, nei tempi da essi scelti, la via ordinaria dell'esecuzione immobiliare, senza alcuna interferenza del giudice delegato circa le modalità della vendita. 


3-Scadenza dei crediti
La cristallizzazione della massa passiva, che risponde all'esigenza primaria della procedura fallimentare di evitare situazioni disomogenee o sperequative, postula che i crediti concorrano nel loro importo al momento della dichiarazione di fallimento, il che impone la riduzione in denaro di tutti i crediti non ancora scaduti. All'accennata esigenza provvede una serie di norme, tra cui spicca quella di cui al secondo comma dell'art. 55 L.F. per la quale i debiti pecuniari del fallito, siano essi muniti o non di garanzia, si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione di fallimento.
La norma in esame non prende in considerazione i crediti pecuniari scaduti prima della dichiarazione di fallimento del debitore perchè la determinazione degli stessi discende dai principi generali in materia di obbligazioni e dal principio della cristallizzazione della massa passiva alla data del fallimento. Ne deriva che l'importo del credito scaduto da ammettere al concorso è costituito dalla somma dovuta per capitale, più gli interessi convenzionali o legali maturati dalla data di scadenza a quella di dichiarazione di fallimento. Il creditore ha, altresì, diritto al risarcimento del danno conseguente all'inadempimento, nei limiti in cui la giurisprudenza ammette la risarcibilità del danno derivante da svalutazione monetaria ai sensi del secondo comma dell'art. 1224 c.c., che presuppone la messa in mora del debitore in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, salvo che non si tratti di c.d. interessi commerciali di cui si dirà. 

4-Crediti non pecuniari
Alla funzione di operare un livellamento di tutti i crediti non scaduti ai valori alla data del fallimento, con riferimento all'espressione monetaria di quel momento, provvede l'art. 59 che si riferisce, benchè la rubrica faccia riferimento ai crediti non pecuniari, sia ai crediti pecuniari nei quali la quantità delle unità monetarie dovute sia definita con riferimento ad altri valori, sia ai crediti che, pur non essendo pecuniari, in quanto oggetto della prestazione è un bene diverso dal danaro, dovranno essere determinati e pagati, secondo la legge del concorso, in danaro. 
Queste categorie di credito si intendono scadute alla data di dichiarazione di fallimento del debitore e concorrono secondo il loro valore alla data del fallimento, conformemente alla parallela disposizione di cui al secondo comma dell'art. 55, per cui, come si considerano scaduti alla data di dichiarazione di fallimento i crediti pecuniari, allo stesso modo e allo stesso momento si considerano scaduti quelli non pecuniari.
Nella prima categoria rientrano tutti i crediti aventi ad oggetto una prestazione di danaro, determinata non nel suo preciso ammontare bensì con riferimento a clausole monetarie, clausole oro, clausole merci, nonchè i crediti indicizzati, i crediti in moneta estera, ecc., ossia tutte le categorie di crediti nei quali la quantità di moneta legale da prestare èsoggetta a variazioni per il trascorrere del tempo e per l'eventuale oscillazione del potere di acquisto. Nella seconda categoria rientrano quei crediti non pecuniari che debbono e possono, anteriormente alla loro scadenza, essere trasformati e determinati in crediti pecuniari alla data della dichiarazione di fallimento (tra i quali quindi non sono compresi i crediti di restituzione di cose possedute a titolo precario dal fallito, per i quali è previsto il soddisfacimento in forma specifica attraverso il procedimento di cui all'art. 103).
Alla norma di cui all'art. 59 si richiamava la giurisprudenza nel determinare la rivalutazione dei crediti di lavoro fino alla data del fallimento e su essa è intervenuta - con riferimento a questa sola tipologia di crediti- la Corte Costituzionale, ritenendola non conforme al dettato costituzionale, in relazione all'art. 429 comma terzo c.p.c. rispetto all'art. 36 Cost., nella parte in cui esclude la rivalutazione dei crediti di lavoro subordinato per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento e sino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo e per il periodo successivo al concordato e al decreto ministeriale con cui si dispone la procedura di amministrazione straordinaria. 

5-Interessi
La regolamentazione degli interessi nel fallimento è contenuta negli artt. 54 e 55. Il principio base in materia è dettato dal primo comma dell'art. 55, per il quale "la dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto è disposto dal terzo comma dell'articolo precedente". A sua volta, il terzo comma dell'art. 54 dispone che "l'estensione del diritto di prelazione agli interessi è regolata dagli artt. 2749, 2788 e 2855 commi secondo e terzo del codice civile, intendendosi equiparata la dichiarazione di fallimento all'atto di pignoramento". Rispetto alla legge previgente è stato incluso nell'ult. comma dell'art. 54 anche il richiamo l'art. 2749 c.c., in conformità a quanto, del resto, già attuato nel 2001 con l'intervento della Corte Costituzionale ed è stato aggiunto un ulteriore periodo al terzo comma dell'art. 54, secondo il quale “per i crediti assistiti da privilegio generale, il decorso degli interessi cessa alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente”. Quest'ultima norma viene incontro all'esigenza di fissare criteri determinati per il calcolo degli interessi post insolvenza sui crediti assistiti da privilegio generale nel caso di vendita non contestuale di tutti i beni mobili, dato che il principio giurisprudenziale dominante in precedenza- secondo il quale, in questi casi, gli interessi cessano di maturare gradualmente e proporzionalmente in corrispondenza della graduale liquidazione del patrimonio mobiliare del debitore- era di fatto inapplicabile nelle procedure di una certa complessità. Alla luce di questo nuovo criterio per calcolare gli interessi post fallimentari prodotti dai crediti privilegiati, la inclusione di un creditore assistito da questo tipo di privilegio in un riparto parziale in cui trovi una soddisfazione anche minima, blocca il decorso degli interessi anche sul residuo credito rimasto impagato con quel riparto. Va ricordato che le disposizioni in materia di interessi su transazioni commerciali- sia per quanto riguarda la non necessità dell'atto di mora, sia per la entità del tasso- di cui al Dlgs n. 231 del 2001, come modificato dal Dlgs 9.11.2012, n. 192, applicabile alle transazioni commerciali concluse a far tempo dall'1. 1.2013, per espressa previsione dell'art. 1, non trovano applicazione per i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, sicchè il creditore, se non dispone di titolo giudiziario definitivo anteriore alla dichiarazione di fallimento che condanna il debitore al pagamento degli interessi in questione, non può utilizzare la citata normativa agevolativa. Il quadro degli interessi può essere, quindi così riassunto:
Interessi generati dai crediti privilegiati 
Con l'ammissione al passivo dei crediti assistiti da privilegio i relativi interessi decorrono nei limiti di cui all'art. 2749 c.c. e, quindi, possono essere chiesti: a)-in privilegio, con lo stesso grado dei crediti per capitale, gli interessi al tasso convenzionale maturati per l'anno in corso alla data del fallimento e nell'anno precedente;
b)-in privilegio con lo stesso grado dei crediti per capitale gli interessi al tasso legale maturati successivamente alla data di dichiarazione di fallimento fino alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente.
Interessi generati dai crediti ipotecari 
Con la collocazione al passivo di un credito ipotecario i relativi interessi decorrono a norma dell'art. 2855 c.c., e, quindi, possono essere ammessi nello stesso grado:
a)-gli interessi corrispettivi iscritti, al tasso convenzionale contrattualmente pattuito, maturati nell'annata (contrattuale) in corso al momento della dichiarazione di fallimento e nelle due annualità anteriori sul capitale; 
b)-gli interessi moratori al tasso convenzionale contrattualmente pattuito, maturati nell'annata (contrattuale) in corso al momento della dichiarazione di fallimento e nelle due annualità anteriori sul capitale e sugli interessi corrispettivi, ove non diano luogo ad anatocismo; naturalmente, in questi limiti, gli interessi moratori sono dovuti dalla data di messa in mora, ove necessaria, e sempre che questa sia anteriore al fallimento;
c)-gli interessi iscritti, al tasso legale sul capitale, successivi all'annata in corso al momento della dichiarazione di fallimento e fino al decreto di trasferimento del bene offerto in garanzia e, in caso di piu' beni gravati da ipoteca, fino alla soddisfazione del credito garantito o al decreto di trasferimento dell'ultimo bene gravato dalla garanzia reale. 
Trovano, invece, collocazione chirografaria:
d)-gli interessi corrispettivi e moratori, anche se iscritti,al tasso convenzionale contrattualmente pattuito maturati prima delle due annualità anteriori a quella in corso al momento della dichiarazione di fallimento;
e)-gli interessi non iscritti o eccedenti il limite dell'importo per il quale l'ipoteca è stata iscritta maturati fino alla data di dichiarazione di fallimento. Non trova, infine, alcuna collocazione la quota di interessi, corrispettivi o moratori relativa alla differenza tra il tasso convenzionale e quello legale riconosciuto, maturati dopo l'annata in corso alla data di dichiarazione di fallimento.
Interessi generati dai crediti pignoratizi 
Con l'ammissione al passivo dei crediti pignoratizi i relativi interessi decorrono nei limiti di cui all'art. 2788 c.c. e, quindi, possono essere chiesti:
a)-gli interessi corrispettivi, al tasso convenzionale contrattualmente pattuito, maturati nell'annata (contrattuale) in corso al momento della dichiarazione di fallimento;
b)-gli interessi moratori al tasso convenzionale contrattualmente pattuito, maturati nell'annata (contrattuale) in corso al momento della dichiarazione di fallimento sul capitale e sugli interessi corrispettivi, ove non sia vietato l'anatocismo; 
naturalmente, in questi limiti, gli interessi moratori sono dovuti dalla data di messa in mora, ove necessaria, e sempre che questa sia anteriore al fallimento;
c)-gli interessi, al tasso legale sul capitale, successiviall'annata in corso al momento della dichiarazione di fallimento e fino alla vendita del bene offerto in garanzia e, in caso di piu' beni gravati da pegno, fino alla soddisfazione del credito garantito o alla vendita dell'ultimo bene gravato dalla garanzia reale. Trovano, invece, collocazione chirografaria:
d)-gli interessi corrispettivi e moratori al tasso convenzionale contrattualmente pattuito maturati prima dell'annualità in corso al momento della dichiarazione di fallimento;
Non trova, infine, alcuna collocazione la quota di interessi, corrispettivi o moratori relativa alla differenza tra il tasso convenzionale e quello legale riconosciuto, maturati dopo l'annata in corso alla data di dichiarazione di fallimento.
Interessi generati dai crediti chirografari
Con l'ammissione al passivo di un credito chirografario possono essere chiesti, sempre in via chirografaria:
a)-gli interessi corrispettivi sul capitale decorrenti dalla scadenza del credito alla data di dichiarazione di fallimento, al tasso legale o convenzionale se la misura superiore al tasso legale risulta da pattuizione scritta;
b)-gli interessi moratori sul capitale dalla messa in mora e sempre fino alla dichiarazione di fallimento al tasso legale, con possibilità di un tasso superiore sotto forma di risarcimento danni ex art. 1224 comma 2° c.c. con le modalità probatorie che la giurisprudenza ha fissato; nei casi in cui è ammesso l'anatocismo, gli interessi moratori possono aggiungersi a quelli corrispettivi. 
Non vanno riconosciuti gli interessi post fallimentari inquanto, a norma dell'art. 55 L.F., la dichiarazione di fallimento sospende il decorso degli interessi convenzionali e legali, agli effetti del concorso. 

6-Compensazione
I creditori-dispone il primo comma dell'art. 56- hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.
A decorrere da Cass. S.U. 16.11.1999 n. 775 la norma viene interpretata nel senso che l'art. 56 l.fall. non pone alcun altro limite alla compensabilità del debiti verso il fallito-creditore, che non sia la semplice anteriorità al fallimento del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte, con la conseguenza che la compensazione fallimentare diviene applicabile non solo quando il credito del terzo non è ancora scaduto alla data della dichiarazione di fallimento, ma anche quando tale scadenza riguardi il credito del fallito.
Le S.U. si sono limitate ad affermare, perché questa era l'oggetto del giudizio, che la compensazione fallimentare si attua anche quando il credito del fallito, alla data di dichiarazione di fallimento, non sia ancora scaduto, ma è chiaro che lo stesso principio è estensibile a tutti gli altri requisiti della compensazione. Il momento della dichiarazione di fallimento, come non rileva sul requisito della esigibilità del credito del creditore in bonis e del credito del fallito, così è irrilevante per gli altri requisiti, sicchè la compensazione è sempre ammessa tra crediti contrapposti sorti anteriormente all'apertura del concorso, anche quando essi siano privi del requisito della esigibilità, o della omogeneità o della liquidità, in quanto questi requisiti possono sopravvenire anche in corso di fallimento.
In questa nuova ricostruzione, quindi, l'art. 56 non costituisce più una eccezione ai principi fallimentari, ma assume il ruolo determinante e significativo- ed è questa la funzione della norma- della volontà del legislatore di permettere che l'effetto estintivo si attui anche dopo la dichiarazione di fallimento, giacchè la norma, se permette che tale effetto si verifichi al momento della naturale scadenza del credito concorsuale posto in compensazione (e, quindi, anche nel corso del fallimento), consente anche che in pendenza del concorso possano sopravvenire gli altri requisiti di compensabilità, da cui l'ulteriore deduzione della mancanza di qualsiasi limite alla compensabilità che non sia l'anteriorità al fallimento del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte.
Il creditore che ritenga di aver diritto ad effettuare la compensazione tra un proprio debito e un proprio credito, potrà insinuarsi per l'eventuale maggior credito residuo con il vantaggio che la compensazione, se non è contestata in sede di verifica, non potrà essere riproposta in corso di procedura. Infatti, con la sentenza 16508 del 2010, le Sezioni Unite hanno statuito che "quando il creditore richiede l'ammissione al passivo per un importo inferiore a quello originario deducendo la compensazione, l'esame del giudice delegato investe il titolo posto a fondamento della pretesa, la sua validità, la sua efficacia e la sua consistenza. Ne consegue che il provvedimento di ammissione del credito residuo nei termini richiesti comporta implicitamente il riconoscimento della compensazione quale causa parzialmente estintiva della pretesa, riconoscimento che determina una preclusione endofallimentare, che opera in ogni ulteriore eventuale giudizio promosso per impugnare, sotto i profili dell'esistenza, validità, efficacia, consistenza, il titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione". 
Al fine di evitare possibili frodi, il secondo comma dell'art. 56 l.fall. dispone che, per i crediti non scaduti, la compensazione non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore; il legislatore ha, cioè, presunto che l'acquisto dopo il fallimento del debitore o nell'imminenza dello stesso di un credito non scaduto sia fatto ad un prezzo inferiore a quello nominale e proprio allo scopo di evitare, attraverso il meccanismo della compensazione, il pagamento da parte del cessionario di un suo debito (ed, infatti, non rientra nell'ipotesi contemplata l'acquisto del credito mortis causa).
Invero, la compensazione, in casi del genere, comporterebbe effetti particolarmente favorevoli per il cessionario (debitore verso il fallito) e per il cedente e dannosi per la massa (debitore ceduto), giacchè il primo, non solo estinguerebbe il suo debito senza partecipare al concorso con gli altri creditori, ma locupleterebbe la differenza tra il valore nominale- per il quale è portato in compensazione- e il valore effettivo sborsato; il secondo (cedente) locupleterebbe la differenza tra il prezzo della cessione, immediatamente ricevuto, e la quota, presumibilmente inferiore, ricavabile dal riparto fallimentare nei tempi consentiti dalla procedura; e la massa, a sua volta, verrebbe privata dell'incasso del credito che vantava verso il cessionario, opposto in compensazione al debito ceduto, che doveva essere pagato in moneta fallimentare. Per semplificare si può fare l'esempio di un creditore(verso il fallito) A di 100 e un debitore (verso il fallito) B di 100; A, presumendo di ricavare dai riparti fallimentari, in tempi non definibili, 20, cede il suo credito a B per 50, il quale sborsa immediatamente 50 e, avvalendosi della compensazione al valore nominale, estingue interamente il suo debito. La conseguenza è che A lucra 30 (differenza tra il presumibile ricavo fallimentare di 20 e il prezzo della cessione di 50) e capitalizza la somma di 50 immediatamente ricevuta; B risparmia 50 in quanto, invece, di pagare 100 al fallimento ha sborsato 50 al cedente, estinguendo interamente il proprio debito per compensazione, e la massa subisce una perdita di 80, data dalla differenza tra il valore del credito di 100 verso B, estinto per compensazione, e il presumibile riparto di 20 che avrebbe dato all'originario creditore A. 

7-Il creditore di più debitori in solido
La disciplina della solidarietà passiva nel fallimento è contenuta negli artt. 61, 62 e 63, che regolano tutti i rapporti derivanti dalla solidarietà passiva, sia che si tratti di obbligazione contratta nell'interesse comune dei condebitori, che nell'interesse esclusivo di uno di essi, come nel caso della fideiussione solidalee trovano applicazione sia che tutti i condebitori siano dichiarati falliti, sia che tale evento riguardi uno o più di essi.
La prima regola posta dalla disciplina in esame riproduce in sede fallimentare il principio generale dettato dall'art. 1292 c.c., secondo il quale il creditore di più obbligati in solido può rivolgersi a ciascuno (e cioè a uno o a tutti i condebitori) per ottenere il pagamento dell'intero, sia in via cognitoria che esecutiva, se ne ha titolo; ed, infatti, l'art. 61 primo comma, dispone che il creditore di più coobbligati in solido concorre - evidentemente attraverso la partecipazione al concorso formale - nel fallimento di quelli tra essi che sono falliti, per l'intero credito in capitale e accessori, sino al totale pagamento.
Nell'ipotesi in cui non tutti i coobbligati siano stati dichiarati falliti, la domanda nei confronti del o dei debitori falliti va proposta con le forme di cui all'art. 93, nel mentre per i condebitori in bonis non opera il principio dell'esclusività del procedimento di accertamento del passivo, anche se al momento della dichiarazione di fallimento di uno dei coobbligati sia già pendente un giudizio nei confronti di tutti; in tal caso il giudizio in sede ordinaria diventa improcedibile nei confronti del condebitore dichiarato fallito, ma prosegue nei confronti dei condebitori non falliti non valendo la presenza di altre parti, i cui rapporti processuali sono estranei al fallimento, a giustificare una deroga alla regola posta dall'art. 52. 
Il creditore concorre nel fallimento del o dei condebitori falliti «per l'intero credito per capitale ed accessori», dispone il primo comma dell'art. 61, facendo chiaro riferimento all'ipotesi in cui il creditore nulla abbia ricevuto prima della dichiarazione di fallimento, giacché, ove prima di questo evento abbia ricevuto un pagamento parziale, non può chiedere agli altri coobbligati falliti l'intero, giusto il disposto del primo comma dell'art. 62, per il quale il creditore che ha ricevuto, prima di tale data, pagamenti parziali da altri coobbligati, può partecipare al concorso soltanto per la parte non riscossa (e il coobbligato per la somma pagata, fermo restando il diritto del creditore di farsi assegnare la quota di riparto spettante al coobbligato fino a concorrenza di quanto ancora dovutogli).
Il creditore che si sia insinuato al passivo del debitore principale per suo credito esistente alla data del fallimento, continua a concorrere in quella procedura - e, quindi, ai riparti - per l'importo del credito ammesso, sia che non abbia ricevuto alcun pagamento, sia che abbia ricevuto dei pagamenti parziali da altri coobbligati. A loro volta, questi ultimi possono esercitare il regresso (in senso generico quale possibilità di rivalsa, comprensivo del regresso in senso tecnico e della surroga) soltanto dopo che il creditore sia stato soddisfatto integralmente.
L'inalterabilità dell'ammissione del credito rimane sia che i pagamenti parziali siano stati fatti da un coobbligato in bonis sia da un fallito in quanto, sebbene l'art. 61 regoli espressamente i soli rapporti interni tra i coobbligati falliti, la stessa disposizione è riferibile anche al caso in cui l'azione di regresso sia esercitata nei confronti del fallito da un coobbligato in bonis, identica essendo, in entrambi i casi, la ratio che giustifica l'applicazione della disciplina in esame, volta ad escludere dal concorso, onde evitare la duplicazione dello stesso credito, il coobbligato, sia egli fallito che in bonis, che, avendo pagato dopo la dichiarazione di fallimento, trova il creditore già insinuato al passivo per l'intero credito;
L'inalterabilità dell'insinuazione permane fino al totale pagamento del creditore; fino, cioè, alla sua integrale soddisfazione, sicchè, anche per quanto riguarda l'esercizio del regresso, è da considerare parziale il pagamento fatto dal coobbligato che non estingue il credito, anche se esaurisce la sua obbligazione (ipotesi del fideiussore parziale o pro quota). Ossia, l'integralità del pagamento deve essere valutato ex parte creditoris in quanto ciò che rileva, ai fini dell'ammissibilità del regresso, non è la circostanza che attraverso il pagamento il coobbligato abbia totalmente assolto la propria obbligazione, ma che l'adempimento risulti idoneo ad estinguere la pretesa che il creditore comune abbia insinuato o possa insinuare al passivo del fallimento.

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